
Gli Scritti di San Francesco d'Assisi: tesori di saggezza per tutti
Francesco, con quell’umiltà che caratterizzava ogni fibra del suo essere, si definiva “semplice et idiota” – semplice e illetterato – eppure ci ha donato un patrimonio spirituale di inestimabile valore. Le sue parole, scaturite dal profondo dell’esperienza con il Signore Gesù Cristo, sono luminosi fari per tutti noi: due regole di vita per i frati, lettere che trasudano attenzione e fede, preghiere che toccano le corde più intime del cuore e testi poetici come il sublime Cantico delle Creature, prima gemma della letteratura italiana.
Per immergersi completamente in questo oceano di sapienza spirituale, è possibile consultare tutti i suoi scritti attraverso questo link (https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/san-francesco-di-assisi/fonti-francescane/gli-scritti), dove ogni parola risuona ancora oggi con la stessa intensità di otto secoli fa.
Il Testamento
Un cammino di grazia raccontato dal cuore
Tra tutti i suoi scritti, vogliamo soffermarci su quello che forse rappresenta il più intimo e rivelatore: il Testamento. In questo testo, scritto poco prima di varcare la soglia della morte, Francesco non distribuire beni materiali – che non ha – come si fa nei testamenti comuni. Con la delicatezza di chi ha vissuto ogni giorno come un dono, egli rilegge la sua esistenza come un grande cammino insieme al Signore: un pellegrinaggio personale che lo ha condotto attraverso gli incontri e i passaggi più significativi della sua vita – l’abbraccio ai lebbrosi, la fraternità con i compagni, il rispetto profondo per i sacerdoti della Chiesa – tutto orientato verso l’annuncio universale della pace di Dio.
In queste pagine preziose, Francesco non offre teorie astratte o riflessioni intellettuali su Dio e su se stesso. Piuttosto, condivide un cammino vissuto, pulsante di vita autentica, segnato dall’incontro trasformante con la misericordia paziente e benevola del Signore. È qui che si rivela il miracolo della grazia: ciò che un tempo gli sembrava amaro – l’incontro conigli esclusi, la rinuncia, l’incomprensione – si è trasformato in dolcezza ineffabile per l’azione dello Spirito Santo che gli ha cambiato il cuore.
Un lascito spirituale per tutte le generazioni
Affidando alla scrittura questa rilettura profonda della sua esistenza, Francesco offre ai suoi frati – e a tutti noi – un punto di riferimento sicuro e luminoso. Nel Testamento si cela un tesoro: la memoria viva della radice spirituale e carismatica della sua vita evangelica, custodita e comunicata con tenerezza paterna.
In quelle righe, scritte mentre era ormai gravemente malato, pieno di dolori e quasi cieco, Francesco consegna se stesso nella sua interezza: le sue intuizioni più profonde, maturate nel crogiolo della sofferenza e della gioia, vengono offerte come eredità spirituale. È un atto di amore supremo, pensato affinché, nel fluire del tempo e nei mutamenti culturali, quelle scintille originali di Vangelo vissuto possano essere sempre riaccese, vissute e comunicate con creatività fedele e cuore ardente.
Il Testamento di San Francesco non è semplicemente un documento storico: è una finestra spalancata su una persona che ha saputo trasformare ogni prova in benedizione, ogni incontro in opportunità d’amore, ogni momento in occasione per lodare l’Altissimo. Le sue parole continuano a risuonare come invito perpetuo a tutti coloro che desiderano camminare sulla strada della pace e della fraternità universale.

Il Testo del Testamento
Fonti Francescane 110-131 © Editrici Francescane
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così:
quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.
E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo:
Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro.
E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori.
E non voglio considerare in loro il peccato,
poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.
E tutti i teologi e quelli che amministrano le santissime parole divine, dobbiamo onorarli e venerarli come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.
E dopo che il Signore mi dette dei fratelli,
nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò.
E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più.
Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare;
e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà.
E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio.
Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».
Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro,
se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini.
Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.
E fermamente voglio obbedire
al ministro generale di questa fraternità e ad altro guardiano che gli sarà piaciuto di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la volontà sua, perché egli è mio signore.
E sebbene sia semplice e infermo,
tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l’ufficio, così come è prescritto nella Regola.
E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire così ai loro guardiani e a dire l’ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l’ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato.
E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.
E non dicano i frati: «Questa è un’altra Regola»,
perché questa è un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, fratelli miei benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
E sempre abbiano con sé questo scritto accanto alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.
E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: «Così devono essere intese»; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine.
E chiunque osserverà queste cose,
sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. [Amen].